sabato 11 dicembre 2010

Per ripicca

Tra il 2 e il 6 dicembre ho avuto occasione di collassare (mi sembra un termine più azzeccato di "dormire") ogni sera in una stanza dell'albergo Taj di Chandigarh, appartenente alla catena di alberghi di proprietà del gruppo Tata di cui fa parte anche il Taj Mahal Palace & Resort, tristemente balzato agli onori della cronaca in tutto il mondo nel novembre 2008 come uno dei bersagli dei tragici eventi di Mumbai. Non è mia intenzione generare invidie con questo post: la mia permanenza in quell'albergo mi ha fornito lo spunto per raccontare una storia breve e abbastanza curiosa, che ha per protagonisti una città, Bombay (come all'epoca veniva chiamata Mumbai), un albergo, il Watson's Hotel, e un uomo, J.N. Tata.

Vuole la "leggenda" che, una sera all'inizio del secolo scorso, il Watson's Hotel, all'epoca uno dei più lussuosi alberghi della città, rifiutasse l'ingresso a Jamsetji Tata, fondatore dell'omonima dinastia industriale e già all'epoca uno dei principali uomini d'affari del Paese, poiché l'albergo era "riservato ai bianchi". Adirato per questo rifiuto, Tata decise di costruire un albergo che superasse in bellezza e comfort qualsiasi altra struttura dell'epoca e che fosse aperto a tutti, senza distinzione di razza (termine obbrobrioso, ma molto in voga all'epoca). Il Taj Mahal, il cui nome fu scelto come richiamo alla bellezza e all'opulenza del mausoleo di Mumtaz Mahal, moglie prediletta dell'imperatore Moghul Shah Jahan, ad Agra, aprì i battenti il 16 dicembre 1903.

Sebbene molti storici oggigiorno contestino la veridicità di questo racconto, adducendo come ragione che Tata non fosse un uomo vendicativo, mi piace pensare che in uno slancio d'orgoglio un indiano, osò sfidare e battere gli inglesi, ribadendo il profondo senso dell'ospitalità della sua terra natale; la stessa ospitalità che secoli prima permise ai suoi antenati di trovare rifugio dalla Persia assoggettata all'Islam.

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