lunedì 19 gennaio 2009

Carbon footprint

Per la gioia di grandi e piccini, “Fare l’indiano” riapre i battenti dopo la lunga pausa invernale (pausa per il blog, ma non per l’autore, a cui è toccato lavorare parecchio).

Nei giorni scorsi in Italia si è fatto un gran parlare sul “fatto” che i ghiacciai del Polo Nord sono tornati ai livelli degli anni ’70 del XX Secolo: le virgolette sono doverose, dal momento che la realtà è tristemente diversa da quanto millantato da molte testate nel nostro Paese. Non sta a me dilungarmi su quanto il nostro Presidente del Consiglio sia allergico al cosiddetto “pacchetto 20-20-20”, proposto dall’Unione Europea e caldeggiato da diversi leader, quali Nicholas Sarkozy e Angela Merkel, e su quanto questa allergia abbia contagiato i giornali italiani, ma, visto che molte delle disgrazie climatiche del nostro pianeta sono attribuite ai Paesi emergenti, Cina e India in primis, può essere interessante valutare quanto effettivamente le emissioni indiane influiscano sul nostro ecosistema.

Secondo i dati dell’Energy Information Administration degli Stati Uniti, la principale fonte energetica dell’India è il carbone (53%), seguito dal petrolio (33%), dal gas naturale (8%). Idroelettrico e nucleare rappresentano le fonti di energia meno utilizzate, rispettivamente al 5% e all’1%. Lascia perplessi il constatare che una Nazione posta alle pendici della catena himalayana, il cui potenziale idroelettrico, unicamente sul lato indiano, è stato stimato in più di 207 GW, ossia il 26% del fabbisogno nazionale, derivi più della metà della propria energia dal carbone.

Ma qual è il rapporto tra l’India e il carbone? Perché uno Stato in cui il sole splende per dieci mesi all’anno, con un enorme potenziale idroelettrico ed eolico, continua ad affidarsi alla fonte energetica più obsoleta?

Il fatto che esista un Ministero del Carbone già non fa presupporre buone risposte alle mie domande, ed una visita al suo sito peggiora ulteriormente l’impressione. Nella colonna del menu a sinistra, difatti, campeggia un link non molto invitante per chi ha a cuore la sorte del nostro pianeta: “Coal – Indian Energy Choice” (1). Aprire la pagina fa venire un tuffo al cuore: si legge difatti che “COAL is the most important and abundant fossil fuel in India. It accounts for 55% of the country's energy need. […] Considering the limited reserve potentiality of petroleum & natural gas, eco-conservation restriction on hydel project and geo-political perception of nuclear power, coal will continue to occupy centre-stage of India's energy scenario.” (2) Si sfiora poi il ridicolo, quando il carbone viene definito “a unique ecofriendly fuel source” (3).

Constatare che a distanza di due anni, cioè da quando consultai per la prima volta il sito per lavoro, il testo sia rimasto invariato mi fa sperare che si tratti di una vecchia e poco azzeccata campagna di marketing a favore del carbone, ma le notizie più recenti sembrano smentirmi: Tata Ultra Mega difatti non è un nuovo, gigantesco SUV, bensì un progetto per una centrale a carbone da 4 GW da realizzarsi a Mundra, nello Stato indiano del Gujarat, sponsorizzato dal gigante dell’industria indiana. Il progetto viene definito come “pulito”, grazie all’utilizzo della cosiddetta Supercritical technology, ma rimangono forti perplessità sull’efficacia di questi sistemi. Perplessità per gli scienziati e gli ambientalisti, non certo per gli invetitori, il cui profitto su una centrale a carbone è basato soprattutto sul livello di investimenti effettuati.

Tata potrebbe inoltre essere responsabile di un vero e proprio disastro ambientale, oltre che di uno scempio per chi come me deve affrontare ogni giorno il traffico di una megalopoli come Delhi. Se i volumi di vendita della Nano, la macchina ideata e progettata per costare 100.000 Rupie, una cifra che in India ha un forte valore simbolico, raggiungeranno le previsioni, le malridotte strade indiane verranno invase da uno sciame di un milione di veicoli in più all’anno, vanificando i pochi sforzi compiuti dall’India per diminuire il tasso di inquinamento delle sue grandi città.

In un mix esplosivo di mancanza di attenzione per le energie più pulite, interessi di grandi industriali e forte crescita economica, pur in tempi di crisi economica, l’India rappresenta effettivamente un rischio per il già precario equilibrio ambientale della Terra. Con buona pace dei nostri ghiacci.

Note di traduzione per i meno anglofoni:
(1) Carbone – la scelta indiana per l’energia
(2) Il CARBONE è il combustibile fossile più importante ed abbondante in India. Da esso si ricava il 55% del fabbisogno energetico del Paese. [...] Considerando la limitatezza delle riserve di petrolio e gas naturale, le restrizioni ambientali sui progetti idroelettrici e la percezione geopolitica delle centrali nucleari, il carbone continuerà a svolgere un ruolo primario nella produzione di energia in India.
(3) Una fonte energetica unica e amica dell’ambiente

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